Scritti

La trascendenza di Jerusalema

6 dic 2020

Parliamo di antropologia, arte, media.

Scritti

La trascendenza di Jerusalema

l'Adige, 14 agosto 2020

Il tormentone di questa estate 2020 è una canzone africana, cantata in una lingua simile allo zulu, parlata in Sudafrica e in Zimbabwe. Si intitola Jerusalema, è molto dolce e positiva. Per aver mosso passi di danza su questa canzone una tenente della Marina italiana sta passando dei guai. Roba da non credere. Il testo della canzone Jerusalema parla di una terra promessa, un luogo mitico e paradisiaco che richiama irresistibilmente. L'invocazione che ricorre suona così: ngilondoloze. Traduzione, "salvami". Il non detto, il non cantato, è una discriminazione, un abuso, un'ingiustizia storicamente patita. Si tratta dunque di una supplica rivolta a qualcuno, una divinità o a un'entità extraterrestre, non specificata: "Il mio posto non è qui, portami con te".
Questa canzone è stata lanciata sul social network cinese TikTok ed è presto decollata a livello mondiale. Ne è autore il giovane produttore discografico sudafricano Kgaogelo Moagi (in arte Master KG) 24 anni, nato in un villaggio del Limpopo, che tuttavia deve l'inaspettato successo a un'autentica forza della natura: la giovane connazionale Nomcebo Zikode, musicista house, dal vocione gospel che fa tremare la terra.
Jerusalema si è diffusa come un virus acustico, bell'esempio di come si possa trovare una platea mondiale per un testo letteralmente incomprensibile. Su YouTube si possono già vedere migliaia di coreografie, più o meno elaborate; performance ambientate nei contesti più disparati ed eseguite da bagnanti, professionisti, bambini, soldati, religiosi. In Italia si sono scatenati nella danza persino frati e suore sul portale "Medjugorje tutti i giorni". Ed è appunto divenuto un caso di cronaca l'interpretazione del pezzo da parte di una giovane tenente di vascello della scuola sottufficiali della Marina Militare di Taranto. Costata cara, però, alla protagonista. Al termine della rituale cerimonia di giuramento nel piazzale della caserma, l'ufficiale l'ha ballata, con tanto di sciabola, trascinando in Jerusalema tutto il reparto. Questo balletto è stato definito dai superiori "deplorevole nella forma e nella sostanza" e altamente lesivo dell’immagine della Forza armata, per la sua "grave superficialità". Per l'ideatrice, trasferimento immediato e procedimento disciplinare. Vecchia mentalità. Inutile rigidità. Meglio sarebbe stato sorridere di questo viraggio dal comando secco al canto vibrato, dalla gerarchia ferrea alla partecipazione gioiosa, dall'arido militarismo a una parentesi di umanità pulsante. Se vogliamo dirla tutta, a maggior ragione nel momento attuale in cui alcune divise non sono proprio al massimo della loro popolarità. E infatti diversi sindacati militari hanno rilevato che un'iniziativa così ha il merito di avvicinare le donne e gli uomini in divisa al cuore della gente, con effetto del tutto opposto a quello della contestata lesione di immagine.
Quando si parla di tormentoni estivi vengono in mente la Macarena, la Lambada, l'allegra Pata Pata di Miriam Makeba o il Waka Waka di Shakira. Per non dire degli anni Sessanta del secolo scorso quando già furoreggiava l'Hully Gully.
Per la global hit Jerusalema oggi siamo a centinaia di milioni di clic su YouTube, e prevedibilmente cresceranno. Ma paragonata alla Macarena o a quella scemenza coreana del Gangnam style (il primo a sfondare, nel 2012, la soglia del miliardo di visualizzazioni) Jerusalema è puro spirito. Un anelito struggente. Il sogno di un altrove metafisico, diverso da quello turistico. È un altrove ancestrale, carico di desiderio di pace, e di armonia universale. Come quello degli ebrei perseguitati, dei neri africani deportati nei Caraibi e di tutti i migranti della Storia, colmi di aspettative e di nostalgie, che hanno sempre osato sperare nella felicità futura. "Il mio posto non è qui. Guidami, portami con te". Nella sua semplicità compositiva, Jerusalema - ascoltatela - non è un tormento(ne). È trascendenza.

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