Rizzoli, Milano 2010.
L'icona del monte di Venere incuriosisce come una cuccagna, un’utopia quotidiana. Per i cristiani apriva la porta dell'inferno (ma in molti l'hanno attraversata volentieri). Per le femministe è stata una rivendicazione di libertà. Per i mariti gelosi un bene prezioso da mettere sotto chiave. Nei secoli le donne l'hanno esposta ritualmente per celebrare i funerali e per far crescere i cereali. In tutto il mondo fattucchiere e levatrici hanno dispensato consigli per profumarla o rassodarla, stringerla, aprirla o cucirla. Questo libro è una rassegna di miti, di simboli e di pratiche: dalla vagina ardente della mitologia polinesiana, alla vulva cannibale degli indiani apache. Fino alle modificazioni tradizionali dei genitali femminili e alle moderne operazioni di chirurgia estetica. L'umanità ha sempre mitizzato la natura (non solo quella femminile) "lavorandola" per transitarla nel mondo della cultura. E continua a farlo in un’epoca, come la nostra, in cui l’intimo è diventato pubblico e spettacolare.