Antropologia dell'interculturalità
L'interculturalismo, per uscire dai ghetti culturalidi Alessandra Guigoni
L'interculturalismo
è una teoria e una prassi di qualche rilievo perché auspica in buona
sostanza che in una società multietnica e multiculturale prevalgano
atteggiamenti e comportamenti di conoscenza e scambio reciproco, di
ibridazione e mescolamento etnico e culturale tra i membri di quella
società .
Significativamente tale posizione si è diffusa
soprattutto in ambito educativo, dove è particolarmente sentita
l'esigenza di una diffusione di conoscenze su culture diverse e del
riconoscimento del valore dei contributi culturali provenienti da
contesti sociali extraoccidentali [Marazzi 1998: 180]. Infatti è facile
imbattersi in termini quali "educazione interculturale", "pedagogia
interculturale", "comunicazione interculturale", "relazioni
interculturali", concetti che definiscono pratiche educative e
pedagogiche volte a cercare l'incontro e il dialogo con l'"altro".
Certo,
orientarsi nella terminologia specifica del settore non è facile: ad
esempio spesso si sente parlare di multiculturalismo e di
interculturalismo come se fossero quasi sinonimi, cosa che a mio parere
è profondamente sbagliata.
Esasperando un poco le differenze
tra i due concetti il termine multiculturalismo descriverebbe fenomeni
legati alla giustapposizione di culture diverse, come ad esempio nei
diversi quartieri di una metropoli europea o statunitense i cui
abitanti, a seconda dell'etnia, occupano uno spazio diverso e che
quindi difficilmente "si incontrano" e dialogano. Col termine
interculturalismo intenderemmo invece, riprendendo l'esempio
precedente, una metropoli in cui tutte le etnie, con le loro culture,
condividono gli stessi spazi, comunicando, discutendo, dialogando.
Sicuramente
la pratica interculturale, da quanto si è detto, risulta più difficile,
complessa, perché esige che noi, abitanti della metropoli, incontriamo
l'"altro", ragioniamo con lui, mediamo tra la nostra cultura e la sua,
costruendo una sintesi di culture, sovente diversa dalle culture di
origine.
Nella pratica interculturale occorre essere capaci di
relativizzare la propria cultura (relativismo culturale) superando
perciò l'etnocentrismo, ossia il sentimento di chi considera la propria
cultura, con le sue proprie caratteristiche e soprattutto valori, "al
di sopra" di altre culture. Per iniziare un dialogo interculturale
occorre liberarsi dei propri pregiudizi e dagli stereotipi ad essi
collegati.
Non è una impresa facile perché ciascuno di noi ha
una identità etnica e culturale forte, per cui spesso diamo per
scontato che il nostro modo di vivere e di pensare sia "naturale",
condivisibile universalmente, giusto (talvolta pensiamo anche che sia
l'unico possibile).
L'identità è un'arma a doppio taglio;
infatti da un lato, come un paio di occhiali, ci dà una "visione"
particolare del mondo, aiutandoci a interpretarlo più facilmente e
semplicemente, ponendoci ben pochi dubbi, e dandoci così l'illusione di
controllare e comprendere la complessità e le contraddizioni del mondo
moderno.
D'altro canto questo "paio di occhiali" ci impedisce
di comprendere le ragioni degli altri, fino a diventare una pesante
maschera [Remotti 1996], che ci conduce spesso all'intolleranza,
all'etnocentrismo, al razzismo, sino alle estreme conseguenze.
Molta
critica all'essenzialismo si muove sullo stesso solco; l'essenzialismo
infatti mira a considerare l'identità culturale di un uomo come fissata
e data per sempre, mentre semmai è il risultato di un continuo processo
di costruzione sociale politica, dato che la cultura è anch'essa in
perenne evoluzione e trasformazione.
Naturalmente non si
intende banalizzare il multiculturalismo, il quale è ben più della
coesistenza di più culture in un paese, implica progettualità e
lungimiranza politica, e una grande capacità di scelte equilibrate e
coraggiose da parte dei governi nazionali e locali.
Certo
esistono molti tipi di multiculturalismo, con gradazioni diverse; Marco
Martiniello ne dà tre definizioni interessanti: multiculturalismo soft,
hard e di mercato.
Il multiculturalismo soft riguarda
l'attenzione e l'amore verso le cose esotiche, portate nelle grandi
città dagli immigrati, siano essi abiti, profumi, musica, cibi e stili
di vita. "Nel campo del cibo più una città è ricca di ristoranti dove
si servono specialità di altri paesi, più essa può dirsi
multiculturale" (2000: 63). Naturalmente, aggiungiamo noi, si tratta di
un multiculturalismo easy, in quanto sembra piuttosto facile accettare
o comprendere la bontà di un piatto di sushi o di gulash, o un tamales,
piuttosto che il chador o l'escissione o altre pratiche notoriamente
oggetto di dibattiti serrati nel mondo occidentale.
Il
multiculturalismo hard "rimette in questione la concezione classica
dell'identità nazionale, mentre trascende il superficiale pluralismo
insito nel multiculturalismo soft" (2000: 74). Nei casi estremi del
multiculturalismo hard si arriverebbe a prevedere diversi diritti e
diversi doveri a seconda dell'etnia in questione, mettendo in forse la
tradizionale uguaglianza di tutti davanti alla legge, pericolo
paventato da Sartori e da altri politologi ed esperti di Diritto.
Infine
c'è il multiculturalismo di mercato, che si basa sul meccanismo
domanda-offerta: "per esempio nelle zone degli Stati Uniti abitate da
consistenti minoranze ispano-americane sono apparse delle emittenti
televisive in lingua spagnola" (2000: 75). Queste ed altre pratiche
scaturiscono da un semplice calcolo economico che mira ad ottimizzare i
vantaggi della multiculturalità .
Martiniello riconosce che il
multiculturalismo è soggetto a pericoli e rischi di degenerazione e che
perciò non si può dirne né bene né male in linea di principio, ma solo
esaminando i casi reali e le sue applicazioni; prospetta pericoli e
degenerazioni del multiculturalismo, attraverso la disamina di casi
concreti.
Martiniello ribadisce con forza la condanna a
pratiche come quella dell'escissione in quanto, al di là del
multiculturalismo, "il rispetto dell'identità fisica e psicologica di
ogni persona umana può essere difeso come un valore universale" (2000:
82).
La soluzione ai dilemmi del multiculturalismo potrebbe
stare nella terza via proposta con modestia e prudenza da Martiniello
nelle ultime pagine del libro, consistente in una fusione tra esigenze
di diritti collettivi e individuali, tra assimilazionismo e pluralismo,
in modo da uscire dai "ghetti culturali" e intervenire nella realtà
fattuale, a livello di filosofia politica, interventi pubblici e
pratiche sociali. Diritti e doveri uguali per tutti, ma anche
riconoscimento delle diversità e flessibilità di intervento sociale e
politico.
Nella conclusione Martiniello ricorre, o così ci è
parso, all'etnocentrismo critico demartiniano, proprio per superare
l'impasse dell'assunto su cui si regge tutto il ragionamento ossia la
bontà della democrazia occidentale, cosa che ci trova, si parva licet,
concordi:
"Ho voluto dimostrare come pensare l'accettazione
della diversità culturale coincida con il pensare la democrazia e come,
nello stesso tempo, il rispetto per la democrazia rappresenti il limite
da non superare in fatto di accettazione della diversità culturale.
Ebbene la scelta deliberata della democrazia non viene mai motivata,
eppure la si contesta nel mondo industrializzato e anche altrove. Una
questione tormentosa rimane aperta: questa riflessione sul
multiculturalismo è qualcosa di diverso da un nuovo tentativo di
imporre al mondo intero un credo tipicamente occidentale? Penso di no
[...] In altri termini, anche se la fede nella democrazia traduce una
forma di occidentalocentrismo, onestamente non posso fare a meno di
proclamarla" (2000: 111).
L'interculturalismo conduce a
cercare regole, diritti e doveri validi per tutte le culture, a cui
ogni individuo possa appellarsi e che ognuno debba rispettare.
L'interculturalista non va confuso con chi pratica la politica
assimilazionista, semmai cerca un terreno comune di incontro e di
dialogo, e una cultura che sia il prodotto delle culture di partenza.
Clifford
Geertz si è interrogato spesso sugli usi della diversità e tra le sue
riflessioni ve ne sono alcune di particolare interesse, centrate sul
confronto con la "differenza". Gli atteggiamenti delle persone di
fronte alla differenza di altri soggetti (etnica, culturale, sociale
ecc.) sono raccolti sotto tre etichette: forza, tolleranza e ambiguità :
L'uso della forza per assicurare la conformità ai valori
di coloro che possiedono la forza... una vacua tolleranza che non
cambia nulla poiché non affronta nulla... infine... un continuo
dribblare che conduce ed un esito ambiguo [Geertz, 2000: 555].
Nei
fatti paternalismo, indifferenza e arroganza sono tra le pratiche più
comuni nell'affrontare le differenze. Al giorno d'oggi l'alterità , in
virtù di mass media, nuove tecnologie, globalizzazione e new economy, è
sempre più vicina e sempre meno gestibile, perché è venuta a mancare
quella "distanza" (spaziale, temporale, socioculturale) che rendeva lo
studio dell'alterità , in un certo qual senso, più semplice.
Per
Geertz lo studio della diversità oggi deve essere impostato in modo
diverso. Gli usi della diversità culturale, del suo studio, della sua
descrizione analisi e comprensione, non si situano in un percorso che
ricolloca noi stessi in rapporto agli altri al fine di difendere
l'integrità del gruppo e sostenerne la fedeltà ; piuttosto essi si
pongono lungo un percorso atto a definire il terreno che la ragione
deve oltrepassare se intende acquistare i suoi pur modesti traguardi e
renderli effettivi. Questo terreno è scabroso, pieno di buche
inaspettate [...] attraversarlo o tentare di farlo, non vuol dire
affatto livellarlo, trasformandolo in una liscia, sicura e ininterrotta
pianura; al contrario se ne portano semplicemente alla luce le
discontinuità e i contorni [Geertz, 2000: 556].
Geertz definisce
il mondo odierno un enorme collage, un bazar, un assemblaggio di
diversità , in cui vivere la differenza è complicato. Occorre imparare a
comprendere, cioè a percepire e intuire le diversità , abbandonando un
vuoto cosmopolitismo ma anche un campanilismo senza pietà , così come
una tolleranza indiscriminata in quanto "Se vogliamo essere in grado di
emettere un giudizio di larghe vedute, e senza dubbio dobbiamo farlo,
dovremmo essere noi stessi in grado di vedere in modo ampio" [Geertz,
2000: 559].
Mi sembra che le indicazioni metodologiche di
Geertz, concernenti la metafora del terreno e l'appello alla
comprensione delle diversità , abbandonando sia la pratica del
cosmopolitismo sia quella del campanilismo, siano nel complesso un
corpus di riflessioni coerenti con l'interculturalismo.
Nel
caso delle teorizzazioni estreme del multiculturalismo, le culture e le
identità culturali vengono considerate come date, fissate una volta per
sempre, non suscettibili di mutamento. La differenza tra i due approcci
è stata messa in luce da A. Marazzi:
L'attenzione
rivolta agli aspetti dinamici e alle possibilità positive di intervento
e di trasformazione sociale in una realtà culturalmente composita hanno
portato a preferire da parte di alcuni il concetto [...] di
interculturale anziché multiculturale. Secondo tale orientamento,
quest'ultimo termine suggerisce una situazione statica e priva di
incontri reciprocamente fertili, di semplice convivenza tra gruppi di
diversa origine; mentre l'interculturalità indicherebbe conoscenza e
scambi reciproci, con conseguente arricchimento culturale sia dei
singoli gruppi sia della società in generale [Marazzi 1998: 180-181].
Alcune
forme di multiculturalismo infatti si richiamano a concezioni
naturalistiche e essenzialistiche della cultura e dell'identità ; in
questo modo un individuo sarebbe sempre e solo immerso in una sola
cultura e possederebbe una sola identità culturale:
Molti
multiculturalisti concepiscono un universo sociale chiaramente e
nettamente diviso in culture coerenti e distinte di cui sono portatori
gruppi sociali di forte omogeneità interna. Si suppone che questi
gruppi, denominati minoranze etniche, gruppi etnici, comunità culturali
ecc., vivano insieme con una difficoltà tanto maggiore quanto è più
sensibile la differenza, la distanza culturale che li divide
[Martiniello 2000: 80].
A questo punto sorge una domanda: il
pluralismo, valore tipico della Democrazia, è di ascendenza
multiculturale o interculturale?
G. Sartori afferma che il
pluralismo non si riconosce in una discendenza multiculturale ma
nell'interculturalismo. Per lui l'Europa attuale, in quanto tale, è una
realtà creata dallo scambio interculturale, dall'interculturalismo e
non dal multiculturalismo. Infatti:
Il multiculturalismo porta alla Bosnia e alla balcanizzazione; è l'interculturalismo che porta all'Europa [Sartori 2000: 112].
Il
pensiero di Jean Loup Amselle ribalta molti punti di vista
tradizionali: proclamando l'universalità delle culture e la forza delle
connessioni secolari tra culture diverse Amselle provoca coloro che
vivono la congiuntura attuale come uno scontro tra culture
irriducibilmente diverse, tra monoliti inconciliabili e incomunicabili.
La dialettica tra locale e globale viene sciolta attraverso
l'affermazione secondo cui il locale è parte del globale e non il suo
antagonista, ossia che il locale è fatto della stessa sostanza del
globale: in questo modo resistenze e fondamentalismi verrebbero a
mancare dei propri pilastri teorici (come l'opposizione radicale tra
mondo globalizzato e civiltà pure e incontaminate).
Amselle ci
svela l'esistenza di tali connessioni attraverso esempi etnografici
tratti dal passato e dal presente delle civiltà africane, ci guida
attraverso i nodi della rete (network) che esse formano, e ci indica la
trama complessiva che esse formano; d'altronde il termine "connessione"
è tutt'altro che casuale e prende consapevolmente le mosse dal
linguaggio e dal paradigma di Internet.
La "connessione"
amselliana si può insomma ascrivere nell'attuale tendenza a considerare
i fenomeni sociali descrivibili come reti, formate da nodi di
significati, segni e simboli, attori sociali.
In particolare
si segnala l'ultimo capitolo, dedicato alla "guerra delle culture",
come è stata definita qualche anno fa dal politologo statunitense
Samuel Huntington in The Clash of Civilizations.
Credo sia
opportuno ricordare che il volume di Huntington è stato oggetto di
accese dispute, e su di esso pesa anche un giudizio di riduzionismo.
Infatti lo studioso sostiene che le grandi linee di divisione e le
fonti di conflitto dominanti nel prossimo futuro saranno soprattutto di
matrice culturale e non più ideologica o politica, e principalmente
riguarderanno la cultura cristiana versus quella islamica: «Lo scontro
tra culture determinerà la politica mondiale...La prossima guerra
mondiale sarà una guerra tra culture».
Amselle si interroga
sullo scenario prospettato da Huntington, partendo dalla constatazione
che in realtà le identità etniche sono in perpetua costruzione,
prodotti storici, mentre una certa antropologia le ha considerate e le
considera oggetti finiti, chiusi, monolitici.
In Italia da
Francesco Remotti in Contro l'identità , a Ugo Fabietti in L'identità
etnica e Giulio Angioni, in Ethnic Groups, sostengono che l'identità
sia costruita e manipolata dal singolo come dai gruppi, a seconda delle
situazioni e delle relazioni.
Questa constatazione dovrebbe
condurre a ridimensionare le spinte identitarie, attraverso cui alcune
culture rivendicano differenze assolute, incolmabili, insanabili col
resto del mondo, nella consapevolezza che queste identità ,
perfettamente chiuse e autonome sono costruzioni, finzioni...
In
conclusione sembra di poter auspicare pratiche ibridanti che conducano
alla commistione di elementi locali e globali, in opposizione alle
forme estreme di multiculturalismo, le quali proclamando l'uguale
dignità dei valori di tutte le culture, con una forma di relativismo
acritico e amorale, ne decretano altresì la reciproca incompatibilità ,
conducendo ai ghetti culturali, luoghi di sicuro mantenimento delle
differenze, ma anche delle divergenze e delle incomprensioni, destinati
a fomentare vecchi e nuovi odi etnici e culturali.
Cagliari, 19 Ottobre 2001
------------------------------------------------------------------------
Bibliografia consigliata
Amselle Jean-Loup, Connessioni. Antropologia dell'universalità delle culture, Bollati Boringhieri, Torino, 2001.
Angioni Giulio, "Ethnic Groups", in Europaea, IV, 2, 1998, pp.1-7.
Baroncelli Flavio, Il razzismo è una gaffe, Donzelli, Roma, 1996.
Bettini Maurizio (a cura di), Lo straniero ovvero l'identità culturale a confronto, Laterza, Bari, 1992.
Cirese Alberto Mario, Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo, Palermo, 1971.
Cirese Alberto Mario, Dislivelli di cultura e altri discorsi inattuali, Meltemi, Roma, 1997.
Douglas Mary, Purezza e pericolo, Il Mulino, Bologna, 1993 (ed. or. 1970).
Fabietti Ugo, L'identità etnica, Carocci, Roma, 1998 (seconda edizione) ..
Fabietti Ugo & Remotti Francesco (a cura di), Dizionario di Antropologia, Zanichelli, Bologna,1996.
Geertz Cliffod, Gli usi della diversità , in L'antropologia culturale oggi, a cura di R. Borofsky, Roma, Meltemi, 2000, p. 555.
Guigoni Alessandra, «La peste e la sagra di Sant'Efisio in Sardegna», Anthropology & Iatria, Luglio, 1998, pp. 19-24.
Guigoni
Alessandra, Recensione a L'antropologia culturale oggi a cura di R.
Borofsky, in Le recensioni di SWIF, Servizio di SWIF (Sito Web Italiano
per la Filosofia), http://www.lgxserver.uniba.it/lei/swif.htm, ISSN
1126-4780, III, n. 12, dicembre 2000, all'indirizzo:
http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/crono/2000-12/borofsky.htm
Guigoni
Alessandra, Internet per l'antropologia. Risorse e strumenti per la
ricerca etnografica nel cyberspazio, Genova, Name, 2001.
Lévi-Strauss Claude, "Razza e Storia", in Antropologia culturale due, Il Saggiatore, Milano, 1990, pp. 366-408 (ed. or. 1973).
Marazzi Antonio, Lo sguardo antropologico. Processi educativi e multiculturalismo, Carocci, Roma, 1998.
Martiniello Marco, Le società multietniche, Il Mulino, Bologna, 2000 (ed. or. 1999).
Mazzara Bruno M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, Bologna, 1997.
Remotti Francesco, Contro l'identità , Laterza, Bari, 1996.
Sartori Giovanni, Pluralismo, Multiculturalismo e estranei, Rizzoli, Milano, 2000.
Taguieff Pierre-André, Il razzismo. Pregiudizi, teorie, comportamenti, Raffaello Cortina editore, Milano, 1999 (ed. or. 1997).