Scritti

I nostri avi non erano migliori

8 lug 2022
Scritti

I nostri avi non erano migliori

di Duccio Canestrini - l'Adige 7 luglio 2022 
articolo in Pdf qui: Turismo-i-nostri-avi-non-erano-migliori.pdf

Carrucole meccaniche per i turisti più pigri, autoscontri da Luna Park sulle cime alpine, barilotti di birra in vetta, funi d’acciaio tese da un picco all’altro, pubblicità di hotel e di compagnie assicurative scolpite direttamente sui liscioni glaciali. Non è il futuro, è il passato.
C’è di più. Un gruppetto di escursionisti sulle Alpi svizzere acquista da un ragazzino indigeno petardi, da far scoppiare in quota. Una volta arrivati, la compagnia si divertirà a far rotolare allegramente grosse pietre a valle. Sembra il manuale del turista irresponsabile, ma è la fotografia, anzi l’illustrazione, dei comportamenti più comuni degli escursionisti di una volta. I quali non erano affatto “ecologisti nati”. Non erano rispettosi, non erano particolarmente sensibili all’ecosistema, non erano eroi della sostenibilità. Erano persone che avevano tempo, denaro e una certa cultura, e che quindi in vacanza pretendevano beni e servizi.
Scrivo queste osservazioni consapevole di creare qualche sconcerto, soprattutto tra coloro che in omaggio alla retorica dei bei tempi che furono oggi idealizzano i modi dell’andare in montagna di 150 anni fa. Naturalmente abbiamo bisogno di modelli, di credere in alternative possibili, di sperare in una evoluzione, ma forse è più opportuno rovesciare le prospettive. A dispetto dei tempi che corrono (e qui consiglio la lettura del libro del sociologo Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, elèuthera 2019) qualche indizio di maggior sensibilità alle tematiche ambientali oggi c’è.
Beninteso, siamo ancora lontani dal collegare il mondo della produzione e del consumo di merci, così come la fondamentale incuranza circa gli impatti del nostro stile di vita, ai drammi della cronaca e alle catastrofi a livello planetario. Ma qualcosa si muove, non soltanto i saracchi. Tardi, si dirà. Nel bel film Home di Yann Arthus-Bertrand, prodotto da Luc Besson, la voce che commenta immagini di una scolaresca africana pronuncia una frase formidabile: “È troppo tardi per essere pessimisti”. Ascolto, coscienza, proattività. Dalle parole all’azione. Il problema è che siamo tanti, e questo articolo potrebbe anche finire qui.
Viaggiamo verso gli otto miliardi, un successo evolutivo straordinario per una specie di mammiferi tardivi e imperfetti. Con la pancia e la gola scoperta, dunque vulnerabili, ma in compenso dotati di mani abilissime e una gran testa (grande in senso volumetrico, un chilo e mezzo di cervello). Numerosi, territoriali e arroganti. Hai voglia a dire sostenibilità: chi deve sostenere chi? L’idea di limitarci ci sfiora appena, perpetuiamo un programma genetico atavico, espansionista ed “estrattivista” di risorse, come se vivessimo diecimila o centomila anni fa. O senza andare troppo lontano con la macchina del tempo, come se fossimo nell’Ottocento, ai primordi del turismo. Eh no, signore e signori, le cose sono un po’ cambiate. Una minoranza se ne rende conto: studiosi, attivisti, comunicatori che tuttavia fanno ancora la figura delle Cassandre, uccelli di malaugurio, fustigatori di costumi. E intanto si gioca la partita planetaria.
I nostri antenati non erano migliori, anzi, erano solo pochi. Nel Paleolitico circa 10 mila per tutto il pianeta Terra. Nel 1300 in area europea eravamo 80 milioni. 900 milioni nell’Ottocento, quando s’impenna la curva demografica.
Dunque sì c’è un problema di qualità del turismo in montagna, che si inquadra in un’etica più generale dello stare al mondo nell’era dell’Antropocene. Ma c’è il grosso tema della quantità delle persone: mentre milioni di individui navigano in internet, giocano a bridge, leggono libri, fanno la spesa al supermercato in bicicletta, milioni di altri vanno all’arrembaggio dei più reconditi angoli della natura. Non sono tutti lì a fare cordate alpine, ma in proporzione sono moltissimi comunque (e le fotografie delle code di scalatori sull’Himalaya e delle folle di gitanti sul lago ghiacciato di Braies parlano chiaro).
Il turismo è sempre stato ricreazione, ma anche e soprattutto performance, prestazione, a fini ostentativi. C’era chi poteva permetterselo un secolo fa, c’è chi può anche oggi, e non vede l’ora di comunicarlo al mondo intero attraverso i social. Un ragionamentino? Così, senza spocchia né mea culpa ipocriti. È troppo tardi per negare, sottovalutare o dormire il sonno dei giusti. Sveglia, perché non basta dire transizione ecologica. Transizioni se ne vedono parecchie, affari tanti, ecologia poca.