La democrazia della vetrina

9 lug 2020

La democrazia della vetrina

due stralci:

Democrazia e mercato

Moltissime comunità umane nelle zone più remote del nostro pianeta per millenni hanno inventato e sperimentato forme di governo e di organizzazione sociale diverse dalla democrazia. Le società con religioni sciamaniche, per esempio, non sono affatto democratiche. Neppure la teocrazia tibetana lo è. Tra gli etnografi c’è chi rimpiange che tali forme di diversità culturale e sociale siano sparite, o quantomeno livellate dai protocolli della democrazia. Come di solito si rimpiange che molte lingue vadano perdute e che alcune specie viventi si estinguano. Siamo tutti (o quasi) d’accordo sulla conservazione della biodiversità, ma con la sociodiversità come la mettiamo?

E quando il popolo è brutto?
La sovranità popolare, così come il “sacro” precetto delle Nazioni Unite sulla autodeterminazione dei popoli, non è detto siano le formule migliori in assoluto. Soprattutto quando il popolo è brutto. Che cosa vuol dire brutto?, si dirà con sussiego politicamente corretto. Nulla, per carità, soltanto pensieri. Vedete voi, gli esempi non mancano. Ragionare sopra la democrazia, in ogni modo, pare una buona cosa, come demolire un annoso tabù. Può suscitare perplessità, ma è necessario. Soprattutto da quando abbiamo visto esportare la democrazia a suon di bombe (giuste, beninteso). Incidentalmente qui il legame si rinsalda: democrazia e mercato nel clamore si affratellano, perché anche l’esportazione dell’economia di mercato, come insegna la storia coloniale, è stata spesso accompagnata dal rumore delle armi.