Scritti

La sessualità fluida è sempre esistita

15 feb 2023

Parliamo di antropologia,

Scritti

La sessualità fluida è sempre esistita

Antropologia della sessualità
l'Adige, 15 febbraio 2023

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Un extraterrestre asessuato esita davanti a due toilette con le rispettive icone, una per uomini l’altra per donne. Gli scappa pipì (anche se non si capisce bene dove stia l’uretra in un alieno) ma non sa quale porta aprire.
Il sesso in antropologia – come nella fantascienza - presenta casistiche con un ampio margine di variabilità. I viaggiatori all’epoca delle grandi scoperte rimasero colpiti dalle “strane” abitudini degli indigeni che incontrarono. Ciò che spesso appariva loro come lussuria, promiscuità o perversione in realtà erano solo tradizioni e pratiche diverse. Basti pensare alla figura del mahu a Tahiti: si tratta di un uomo che si depila, danza, veste come le donne polinesiane e si rende disponibile con i mariti quando le mogli sono assenti. Il fatto sorprendente è che copulando con il mahu i guerrieri e i padri di famiglia assumevano un ruolo sessualmente passivo. A tutt’oggi le mansioni di genere non sono universali: chiunque conosca l’India, per esempio, sa che i sarti al mercato sono tutti maschi, mentre nell’edilizia i manovali e i muratori sono donne.
La tradizione non ha niente a che fare con i cromosomi. Ma questo non dovrebbe portare a negare che l’evoluzione e la storia abbiano prodotto psicologie distinte, oltre che “memorie genetiche” diverse. Se ne può parlare senza litigare? In questo periodo sembra emergere una problematica per certi aspetti nuova, un sentimento di non appartenenza al proprio sesso, il non condividere le caratteristiche tradizionali del proprio genere. Ora, se Tizia o Caio, rispettivamente cantante e influencer, hanno dubbi e desiderano cambiare sesso, chi se ne frega?, saranno ben affari loro. Giusto, ma se il carisma di costoro genera una pletora di emuli, la situazione va affrontata. Direi capita, prima di tutto.

Sulla spontaneità di questa (quasi) improvvisa confusione è lecito porsi qualche domanda, correndo il rischio di essere accusati vuoi di inclusivismo, vuoi di transfobia. Per esempio: quanto spesso una persona può aggiornare la propria identità di genere? Boh. Va detto inoltre che i motivi delle cosiddette disforie possono essere molti e diversi; del resto sia l’omosessualità, sia l’eterosessualità, si manifestano in forme varie e fantasiose, e non necessariamente “identitarie”.
Da una parte sta un assunto maturato nel corso degli ultimi decenni, secondo cui il genere è una costruzione culturale e sociale: i ruoli che poi diventano stereotipi (ciò che una donna o un uomo devono o non devono fare) non sono norme che hanno origine nell’alto dei cieli ma sono convenzioni, che variano secondo le epoche e le culture. Se dunque la sessualità è cultura, indipendentemente dalla biologia, siamo di fronte a problemi culturali, che sono sempre complessi. Cioè a questioni che è sciocco politicizzare o ideologizzare.Meglio evitare stigmi e polarizzazioni, se la pensi così sei di sinistra, se la pensi colà sei di destra. Destra e sinistra non sono più categorie utili per interpretare la complessità della realtà, tantomeno delle psicologie individuali. Ogni singolo caso, a maggior ragione in ambiente scolastico, andrebbe valutato (né ignorato, né condannato) da un’équipe di persone preparate: pedagogisti, psicologi, antropologi, sociologi. La politica dovrebbe davvero farsi da parte, soprattutto se in nome della libertà vuole esercitare un controllo.

La fluidità di genere probabilmente è sempre esistita e forse sarebbe meglio che rimanesse tale, senza che il fluido si rapprenda o che venga canalizzato in forme per la solidificazione. Perché altrimenti categorie ed etichette che parrebbero riconoscere e garantire diritti, anziché generare rispetto per la diversità, producono l’effetto opposto, quello della discriminazione. Come se il loro contenuto fosse definito una volta per tutte. Il vissuto, invece, è relazionale, dinamico e magari anche occasionale.
Si tranquillizzino i cospirazionisti della denatalità, non sono poi fenomeni così frequenti da giustificare allarmi, non c’è alcuna minaccia alla sopravvivenza della nostra specie, né alla nostra granitica identità trentina. Azzardo: queste preoccupazioni e le polemiche su scelte e vocazioni individuali, come i “viavai” di natura sessuale LGBTQ+, distolgono l’attenzione da problemi sociali più scottanti. Come L’inflazione, la precarizzazione del lavoro, l’ossessione per la sicurezza che va a scapito delle libertà, il salvataggio di vite umane nel Mediterraneo, il gap generazionale, l’abuso di psicofarmaci per placare ansie esistenziali, l’inquinamento ambientale, il riscaldamento globale, la guerra per le risorse, le fucine di pensiero unico, il modello fallimentare di sviluppo che abbiamo imboccato e via dicendo. I crucci non mancano. Ferma restando l’urgenza fisiologica di imboccare la porta corretta per fare pipì.