Parliamo di antropologia immaginaria, macchina, automobile, ritualità, trasporti,
Programma radiofonico di Rai3, sede di Torino, "Candide". Rubrica Cari Watussi, 2001.
Cari Watussi,
beati voi che con tre passi fate sei metri! Impieghereste certo meno tempo per andare al lavoro di quanto impiego io, guidando la scatolamobile. E' proprio di questo carro che vi voglio parlare oggi, di questa scatola portapersone dove ci infiliamo tutti, per andare dove dobbiamo andare, su quattro ruote che girano, velocissime. Nascosti dentro nella pancia, questo carro ha pezzi di ferro che girano, si scaldano e fanno rumore, ha dentro una macchina-motore. La scatola portapersone ha due sedie davanti e un divanetto dietro. La costruiscono con delle finestrelle trasparenti che si possono aprire: noi guardiamo fuori: gli alberi e le case si muovono, e questo ci dà un senso di felicità e di libertà . Voi direte: che fortuna! Lo so che può sembrare strano, ma attenzione: muoverci in fretta così, dentro le scatole che fanno rumore, lo vogliamo fare, ma allo stesso tempo lo dobbiamo fare. Ci spetta di diritto e ci tocca per dovere. Ma questo non importa, ciò che importa veramente è che ciascuno possieda la propria scatola portapersone.
Di tutti i paesi dell'Europa, il mio è il più fortunato: in Italia abbiamo molte più scatole di quelle che hanno gli altri paesi. Siamo più motorizzati, siamo più civilizzati. Ci sono strade, belle lisce, per le ruote velocissime, ormai dappertutto. In Italia vogliamo bene alle nostre scatole. Non importa di che colore siano o che forma abbiano. Le curiamo, le decoriamo. Ogni scatola ha un numero, così non si confondono. Qualcuno ci incolla vicino delle erbe con tre foglie rotonde che portano fortuna, o dei coniglietti d'argento che si accoppiano, che qui sono simboli di fecondità . Ne ho vista una che aveva dentro un guardiano: era un grande bruco verde e giallo di stoffa, che muoveva la testa in su e in giù, come dire va bene così. Dallo specchietto che serve per vedere se ci sono altre scatole portapersone che arrivano da dietro, a volte pendono dei topini di peluche, piccoli crocifissi oppure cornetti di colore rosso fuoco. Qualcuno si porta dentro anche le teste dei santi e delle nostre divinità , che proteggono i guidatori dagli scontri. Noi crediamo molto a queste cose e speriamo sempre che vada tutto bene.
La domenica mattina, dopo la messa, il mio vicino di casa lava la sua scatola portapersone. Le fa lo shampoo, l'asciuga con una coperta, la lucida e le vuole molto bene. Purtroppo capita che le scatole si rovinino. Quando si ammaccano o si graffiano perché si toccano tra di loro, subito tutti i passeggeri scendono e le guardano con facce tristi e scure. Spesso alzano la voce e si mettono anche a litigare. "Perché hai guidato la tua scatola portapersone contro la mia? Non mi hai visto? Ti piace rompere le scatole?" A furia di dai e dai, il motore si stanca di spingere, le ruote si stancano di girare, i divanetti dentro si stancano dei sederi delle persone. Quando le scatole mobili cominciano a fare rumori strani, le portiamo da medici speciali. Sempre maschi, mai femmine. Questi uomini, ricchi e sporchi di nero, le guardano dentro e fuori, poi ci dicono cosa bisognerebbe fare per guarirle. A volte le nostre scatole sono soltanto vecchie, troppo vecchie per continuare a correre. E allora le portiamo al cimitero. Il cimitero delle scatolemobili è un posto triste, cupo e spaventoso. Qui i dottori tentano trapianti difficili, da una scatola all'altra. Qui le scatole vengono schiacciate perché occupino meno spazio. Nessuno le accarezza più, nessuno si arrabbia se si ammaccano.
Cari Watussi, quasi quasi mi dimenticavo di parlarvi di una cosa. Della guerra delle scatole portapersone. In Europa, negli ultimi dieci anni questa guerra ha causato quattrocentomila vittime. Tutti morti schiacciati dentro le loro scatole. La combattiamo tutti quanti, ogni giorno, grandi e piccoli. La combattono anche quelli che vanno a piedi come voi, che qui si chiamano pedoni, e non entrano nelle scatole. Si guardano a destra e a sinistra, sempre spaventati per la paura che una scatola salti fuori di colpo e gli finisca addosso. Le scatole fanno rumore, ma questa guerra è silenziosa, perché qui la gente non ne parla mai. E' come se fosse una cosa normale, come una bestia feroce che si porta via la vita della gente, mentre sta andando, mentre guardiamo fuori dalle finestrelle, felici e contenti, gli alberi e le case che si muovono. E molti finiscono proprio così. E allora arrivano dei soldati speciali che tirano fuori la persona morta dalla sua scatola e la mettono in un'altra scatola, sottoterra. Nessuno parla di questa guerra, ma il lontano paese da dove vi scrivo, cari Watussi, è un paese libero dove si può e si deve andare in scatola dappertutto. Senza dubbio, il migliore dei paesi possibili.