Ticino7, 3 marzo 2017
Noi e gli altri. L’argomento non è mai passato di moda e mai passerà. Anche se Tzvetan Todorov, filosofo francese di origine bulgara, aureolato di una chioma di riccioli bianchi, lui, purtroppo “è passato via” come dicono gli inglesi. Dalle periferie di Parigi, dove la polizia tenta di tenere a bada, spesso con inutile violenza, il disagio dei molti francesi di pelle nera, alle altrettanto inutili e anacronistiche interdizioni del governo Trump contro presunti barbari immigrati. Proprio Todorov, subito dopo la strage di Nizza, nel luglio del 2016, disse: "Dobbiamo evitare di diventare barbari anche noi, come quelli che ci odiano. Il multiculturalismo è lo stato naturale di tutte le culture. La xenofobia, le pulsioni basate sull'identità tradizionale non sono destinate a durare".
“Noi e gli altri” (Einaudi 1991) è il titolo di un bel libro, per molti aspetti illuminante, di Todorov. Pellerossa e visi pallidi. Terroni e polentoni. Montecchi e Capuleti. Autoctoni e transfrontalieri. Residenti e migranti, approdati dopo odissee inenarrabili, no, solo poco narrate. Al punto che le persone comuni, i viaggiatori in partenza alla stazione, le signore con i bimbi nel passeggino, si chiedono ma chi sono, che cosa vogliono, perché sono qui? Sono perdigiorno, migranti per diletto, profughi per costrizione, avanguardie del turismo futuro? Cercano lavoro, Cuccagna o protezione? Ecco forse queste domande andrebbero rivolte proprio a loro. Con coraggio e semplicità, e certo con il rischio di rimanere sbalorditi dalle tribolazioni, dalle umiliazioni, dalle sofferenze di persone che in molti casi hanno perso tutto, salvo la speranza di ricominciare la vita da capo. E ancora noi che, con questi altri, ci arroghiamo il diritto di dire tu sì tu no, puoi fermarti qui, oppure devi andartene. Todorov l’aveva ben capito, e con gli anni a quel libro si aggiunsero altre opere come “L'uomo spaesato. I percorsi dell'appartenenza”, “Il nuovo disordine mondiale”, “La paura dei barbari. Oltre lo scontro delle civiltà”. Intendiamoci, non è mai stato facile. L’apertura nei confronti di culture altre, un tempo lontane e ora improvvisamente vicinissime, ha sempre comportato dilemmi, pregiudizi, rischi di contaminazione, di confronto, di competizione. Ma questa, fatta di malintesi, è precisamente la storia dell’umanità. Per contro, tuttavia, la chiusura e i muri non hanno mai funzionato. Ed è quello che una sorprendente quantità di americani – liberi cittadini, giornali, catene di ristoranti, grandi aziende - oggi sta dichiarando pubblicamente, forte dei risultati della mescolanza etnica e del diritto di manifestare dissenso. La nostra specie così come la nostra identità sono fatte di relazioni con altri da noi. Perché il cambiamento culturale, quello auspicato da Todorov, non potrebbe mai avvenire se ci limitassimo a guardarci allo specchio.
BOX1 - Rousseau dixit
“Il primo che, recintato un terreno, ebbe l’idea di dire: questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, assassini, quante miserie ed orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dall’ascoltare quest’impostore; siete perduti, se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno". (Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza fra gli uomini. Jean-Jacques Rousseau, 1755.)
Box2 – Immigratis
Sì, ti accogliamo, a parte che tu ci pulisca le scarpe, le case, le strade. Dopo essere sopravvissuti a guerre, violenze, addii, campi di concentramento, viaggi che nemmeno possiamo immaginare. Come dire che gli altri, ai quali generosamente accordiamo ospitalità, in realtà ci devono qualcosa per il fatto di essere malcapitati e disperati in fuga: devono dimostrare di essere socialmente utili. Come minimo lavorare gratis. Altrimenti una persona che viene da fuori è inutile, no?