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Ticino7, 3 settembre 2010
In un negozio di vecchi dischi ho trovato un trentatré giri in vinile dalla copertina rosa shock intitolato Canti di donne in lotta, prodotto da un gruppo di femministe padovane negli anni Settanta. Quanta grinta, quanta voglia di cambiare il mondo. Quanti equivoci. Allora il femminismo combatteva un sistema che discriminava le donne. Nel canzoniere femminista pubblicato dalla Newton Compton nel 1977 si giunge a denunciare “la sacca di sottosviluppo, funzionale al sistema capitalistico, in cui è relegata la donna; questo ghetto economico e ideologico fa della donna il naturale alleato del sottoproletario e del negro”. Parole che sbalordiscono, o fanno sorridere.
Oggi si denunciano i soffitti di vetro, cioè le barriere invisibili che precludono avanzamenti alle donne in carriera. Oggi si rivendicano quote minime di presenza “rosa” all'interno degli organi politici e istituzionali. Oggi si parla di valorizzazione della donna sotto il profilo dei mercati finanziari, dal punto di vista del marketing e per mansioni di carattere manageriale. In pratica, l’emancipazione della donna starebbe nella percentuale di poltrone occupate da persone di sesso femminile ai posti di comando. Stessi metodi, stessi obiettivi. Spesso le donne che lavorano non rivendicano la loro diversità, ma il diritto di partecipare a pieno titolo alla costruzione di un mondo malato. Di un mondo sbagliato. Dove le sperequazioni aumentano, anziché diminuire. Fatti salvi i principi delle pari opportunità e dei pari diritti, a occhio mi sembra un malinteso ideale di liberazione.
Lo aveva capito l’astrologa e scrittrice Lisa Morpurgo, che nel suo bestseller Il convitato di pietra scriveva: “La mimesi degli strumenti virili rischia di risolversi in un prolungamento involontario dello schema fallico-marziano, mentre le proposte di Venere sono ben altre, ricalcano la meccanica propria degli organi sessuali femminili nel corso dell’amplesso e dunque il ciclo matriarcale sarà impostato sul possesso divorante, anziché sulla violenza penetrante, opporrà al culto della tecnica-Urano, il culto della natura-Luna”. Curiose intuizioni cui fanno eco le riflessioni di un’altra scrittrice, Anna del Bo Boffino, pubblicate nel libro Voi Uomini: “Forse non ce ne siamo resi conto, ma in questi anni i valori tipici della cultura femminile sono entrati in gioco nel grande discorso sul futuro dell’uomo, inteso come genere umano: la tutela dell’ambiente, la pace, la redistribuzione delle risorse naturali per combattere la fame. Queste caratteristiche sono riconducibili ad antiche funzioni femminili come il pulire, conservare, capire, nutrire. Valori la cui logica si contrappone a quella maschile del vincere/perdere”.
Quello che una volta si chiamava eterno feminino aprirebbe dunque le vie più sostenibili, anche nel mondo del lavoro. In India questa energia propria del genere femminile si chiama shakti, e si manifesta negli attributi (bellezza, armonia, saggezza) di diverse divinità. Lo shaktismo è una religione millenaria, che connette le origini al futuro del pianeta: perché, si dice, sarà la shakti a curare il mondo. Del resto, la vecchia organizzazione aziendale ha già scoperto le cosiddette risorse umane, le relazioni, l’affettività, il vantaggio della accoglienza delle diversità. Tutte caratteristiche femminili. Così come l’ascolto e il rispetto della vita.
Saranno le donne a salvare il mondo? Non necessariamente. Piuttosto un sentire e un agire femminili, a prescindere dal genere sessuale delle persone impegnate. Un’eventuale leadership femminile non cambierà affatto le cose, se non sarà radicalmente diversa. Non importa se i manager siano maschi o femmine, ciò che importa è la loro etica. Diventare come maschi non è una buona idea. Si può fare di meglio.