Duccio Canestrini, editoriale per l"'Adige", 21 novembre 2022
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“Diciamo la verità”, capita di esprimersi così. Già, ma quale verità? Quella del branco di lupi avvistati sul Bondone, che poi lupi non erano ma cani? Quella del lavoratore agricolo stagionale che ha violentato una donna, ma che dalle indagini non risulta essere stato lui? Quella del vaccino anti contagio Pfizer ma poi salta fuori che un vero vaccino non è? O, andando un po’ indietro nel tempo, quella delle armi di distruzione di massa che Saddam Hussein in realtà non aveva?
Fake news e complottismo sono categorie opinabili, un calderone sostanzialmente inutile dove a volte cadono anche i media, insieme ai famigerati terrapiattisti (mai conosciuto uno), ai molti sfiduciati e agli scettici in blu. Con o senza la regia da parte di mestatori nel reame dei “forse è così”. L’informazione non è il contenuto buono o cattivo di una bottiglia, versato dentro bicchieri vuoti. L’informazione, lungi dall’essere obiettiva (un persistente miraggio ahinoi), è una costruzione del mondo, all’interno di una rete di relazioni. E così la dietrologia di per sé non è giusta né sbagliata, è la pratica metodologica del dubbio. Salvo per i dogmatici.
L’interessante corso di formazione per giornalisti dedicato alle fake news, tenuto alla facoltà di Sociologia di Trento lo scorso 11 novembre, ha avuto il merito di farci ragionare su questioni importanti. Come ha dichiarato la presidente dell’Ordine dei giornalisti della nostra Regione, Lissi Mair, c’è un grande bisogno di informazione attendibile e non superficiale. Per svolgere il mestiere di giornalista servono passione e capacità professionali, ma anche il rispetto della deontologia a garanzia dei lettori. Senza dimenticare che “una società democratica si misura anche sullo spazio e la protezione della pluralità delle voci di informazione”. Accertare ed esporre la verità non è così semplice, evidentemente. Ben prima dell’avvento dei social network il maestro del cinema giapponese Akira Kurosawa, nel film capolavoro intitolato Rashomon, insegnò che le verità sono tante, a seconda dei punti di vista. Vale a dire: fasullo o infondato è ciò che per diversi motivi politici, economici, scientifici - spesso i tre al contempo - si desidera ritenere tale. Ragionare in questi termini, diciamo relativisti, può certamente essere pericoloso. Ma è sempre meglio che non ragionare affatto, o farlo schematicamente.
Come ha osservato l’antropologo Stefano Boni, docente all’Università di Modena, da molto tempo l’antropologia ha dimestichezza con queste dinamiche, basti pensare al lavoro di analisi svolto sui miti più fantasiosi di diverse culture, fino allo studio delle recenti leggende metropolitane. Ma, rileva Boni, oggi c’è “una frattura sempre più profonda ed evidente tra chi è convinto che le istituzioni, nel loro complesso, siano credibili e chi invece le vede come organi di manipolazione di massa”. Possiamo mantenere una definizione neutrale quando il termine fake, per esempio, è usato da una élite per mettere fuori gioco visioni alternative?
Esistono fake news popolari e fake news di regime. Non ci sarebbe da stupirsi se un governo autoritario mistificasse e dissimulasse relazioni di potere, lanciando accuse di falsità per screditare gli oppositori. In realtà, come ben sanno gli storici, questo è sempre accaduto. La scienza e la tecnica sono usate anche come leve di governo. In un quadro di fiducia obbligatoria, è automatico che la dissidenza venga stigmatizzata come ignoranza o irrazionalità. Per non dire delle logiche di opposizione politiche e partitiche: se la versione viene da Destra o se viene da Sinistra, non è veritiera.
Gladio era una struttura segreta che aveva lo scopo di contrastare l'influenza comunista in Europa occidentale; da molti fu bollata come una panzana, fino a quando nel 1990 l’allora capo del governo italiano Giulio Andreotti ne rivelò ufficialmente l’esistenza al Parlamento. E che dire degli anarchici incolpati di aver piazzato la bomba di Piazza Fontana nel 1969? False notizie, perché invece i responsabili furono i neofascisti. Da non dimenticare neppure che i servizi segreti degli Stati Uniti definirono complottismo (conspiracy theory) chi accusò la Cia di essere coinvolta nell’assassinio dei fratelli Kennedy (John nel 1963 e Bob nel 1968). E Dio sa se era implicata. Di regola, onestà e trasparenza basterebbero a vanificare ipotesi sballate. Naturalmente le cosiddette bufale si possono smontare - il termine tecnico è fare debunking - ma accade che si cerchi di smontare una verità definendola falsa, come per esempio nel 2020 quando Vasco Rossi smentì il comunicato della Provincia di Trento che annunciava il suo futuro concerto a Mattarello, definendolo una “fake news da venerdì sera”. Com’è noto il concerto poi si fece.
E no, Mario Draghi non era (e non credo sia diventato) un rettiliano. Ma Mario Draghi, comunque, non ha detto sempre la verità.