C'è un paradosso che circola: secondo gli aborigeni australiani, i turisti migliori sono quelli che arrivano a bordo dei loro autobus, scendono, scattano foto, comprano oggetti artigianali. E ripartono. «Che orrore invece quelli che entrano nelle nostre case, ci sommergono di domande. E vogliono a tutti i costi diventare nostri amici».
à� il contrappasso del turista responsabile. Il desiderio di vivere con la gente del posto, di mangiare lo stesso cibo, di condividerne i ritmi quotidiani, frustrato dalla difficoltà di eliminare gli stereotipi. Ma il boom c'è: e i "do-gooders", i forzati della bontà , i volontari dell'altruismo, sono sempre più numerosi. E sinceramente animati dall'entusiasmo di andare in vacanza per provare a rendersi utili.
La chiamata generale è a volte emotiva: da ultimo per esempio lo tsunami ha portato nelle zone colpite esperti e volontari. E la staffetta è partita: i tour operator hanno inaugurato viaggi all'insegna di una maggiore responsabilità . Il fenomeno, prima circoscritto ad associazioni ambientaliste o di volontariato, è diventato più ampio. Fino a diventare una richiesta alle agenzie turistiche: basta con i tour anestetizzati dai bus con l'aria condizionata. Più possibilità di incontro con la la gente. Occasioni concrete per mescolarsi ai locali.
Cambiano persino i termini per raccontare questo nuovo modo di concepire il viaggiare: al bando il turista, siamo tutti viaggiatori. Non più ferie e vacanze, oggi si va per spedizioni: etiche, responsabili, sostenibili. «Termini usati come sinonimi. In realtà non lo sono», nota Marco Aime, docente di Antropologia culturale all'Università di Genova, che al turismo responsabile ha dedicato il libro "L'incontro mancato" (di imminente uscita per Bollati Boringhieri): «Sono parole che denotano più sensibilità verso il viaggio: non a caso sono le stesse usate da chi critica lo sviluppo. Sostenibile si rifà a un concetto quantitativo. E indica la necessità di fare più attenzione a quanta gente arriva in un posto. Etico e responsabile hanno a che fare con l'aspetto qualitativo: con la morale. Un atteggiamento personale, che non si può attribuire a fenomeni come il viaggio. Come si fa a essere etici quando tra turisti e locali c'è un gap economico così evidente? Anche se chi viaggia cerca davvero di incontrare i locali con un atteggiamento alla pari, viene lo stesso percepito come ricco e straniero. Riuscire a penetrare fino in fondo in una cultura è una nostra illusione. L'incontro è "mancato" a causa di stereotipi reciproci».
Ma mettersi in viaggio per collaborare a un centro educativo, supportare un gruppo di studio ai confini del mondo, sostenere una comunità poverissima, oggi è più facile di un tempo. Rick Lathrop di Globale Service Corps ha raccontato a "Newsweek" che solo i volontari verso la Thailandia, per insegnare inglese o lavorare nelle cliniche, sono aumentati, dall'inizio del 2005, del 30 per cento: «Un senso generale di vulnerabilità ha colpito la gente. Troppe calamità naturali ci hanno dato il senso di appartenenza a un'unica grande famiglia» dice.
«C'è un volontariato naturalistico, iniziato alla fine degli anni '80, ormai consolidato, che coinvolge 2-3 milioni di italiani all'anno», spiega Fabio Ausenda, che da nove anni pubblica le "Green Volunteers", "Guide mondiali al volontariato" (www. greenvol.com), su tutti i passi da compiere per scegliere un progetto e partire: «E c'è un crescente interesse per il volontariato umanitario, che pure ha una tradizione enorme, legata alle organizzazioni religiose. Ne ho la conferma dalle continue richieste di inserimento nei miei libri».
«à� sempre più forte l'esigenza di esperienze», aggiunge Aime: «Il turismo sta cercando di passare da una dimensione ludica a un evento che coinvolge a livello sociale, umano, politico. Come previsto da Jeremy Rifkin: l'Occidente cerca l'accesso a forme nuove di esperienza».
Una richiesta che sembra avere un effetto domino: dai tour operator ai responsabili marketing, si vira su iniziative eticamente apprezzabili. Crescono le campagne di sensibilizzazione, come quella di Tourism Concern (www.touris mconcern.org.uk): "Sun, Sand, Sea and Sweatshops", per richiamare l'attenzione sulle condizioni di lavoro dell'industria turistica. Aumentano gli appuntamenti: dal "World Tourism Forum for Peace and Sustainable Development", lanciato alla fine del 2004 a Salvador de Bahia dall'agenzia delle Nazioni Unite (Wto) al "Responsible Tourism Day" della rete di operatori Responsibletravel.com. In Italia, "Fa' la cosa giusta" (la fiera a Milano di Terre di mezzo) e "Terra futura" (a Firenze, la mostra sulle buone pratiche di sostenibilità ) hanno dedicato largo spazio al turismo responsabile. E ora è il turno di "Vivi non profit", il 20 e il 21 maggio, a Brescia, mostra-convegno su solidarietà e cooperazione (www.brescianonprofit.org).
«Si sta diffondendo un modo di viaggiare che ha come caratteristica la consapevolezza. Di sé e delle proprie azioni, anche quando sono mediate dal comprare. E della realtà dei paesi di destinazione. Questo è turismo responsabile: un viaggiare che sceglie di non avallare distruzione e sfruttamento, ma si fa portatore di principi universali: equità , sostenibilità e tolleranza», recita il manifesto dell'Associazione italiana turismo responsabile, promotrice della "Carta per i viaggi sostenibili". Obiettivo? Trasformare il viaggio in uno scambio culturale e umano. E ribaltare le logiche di mercato: come quella sulla divisione dei prezzi tra operatori e paesi di destinazione. Si stima, ad esempio, che al Kenya rimanga solo il 30 per cento di quanto pagato per un viaggio, in Nepal il 47, in Sri Lanka il 30.
«Non ci sono statistiche italiane sul giro d'affari del turismo responsabile», nota Jimmy Clarini, amministratore di Next Travel World (www.nextworldtravel.it), rete di consulenti di viaggio che entrano a casa dei clienti per proporre viaggi su misura: «Mentre è una realtà consolidata nei paesi anglosassoni, in coincidenza del gap year degli studenti o dell'anno sabbatico, la fotografia più attendibile degli italiani è quella scattata dall'Eurisko: i "senza frontiere" in cerca di novità , i "turisti 5 stelle", i "villaggio-vacanze", gli "indigeni". Tra i 31 milioni di italiani che ogni anno viaggiano, solo il 10 per cento esce dall'Europa. E il primo obiettivo resta il relax. Il fenomeno crescerà , ma al momento non è così appariscente».
«Più sensibilità può far ridurre l'impatto dei turisti sulle popolazioni più povere», aggiunge Aime: «Ma c'è una cosa che manca, e che non si sottolinea mai: il tempo. Il tempo è necessario in ogni rapporto, perché diventi maturo e si trasformi in amore, o anche odio, oppure indifferenza. à� il tempo ridotto che ostacola la possibilità di un incontro vero. Così gli stereotipi permangono. E l'immaginario si autoriproduce: si scattano le foto, si visitano i posti, per confermare quello che già si sa».