Turismo: le nuove frontiere della sicurezza
Sul sito internet del Dipartimento di Stato americano, in un documento
intitolato A safe trip abroad, un viaggio sicuro all'estero, si legge
una curiosa raccomandazione: non accettate cibo né bevande da
stranieri. Nella sua semplicità , questo consiglio cancella millenarie
tradizioni di ospitalità : è davvero possibile viaggiare senza accettare
cibo da sconosciuti? Dunque in futuro viaggeremo con la valigia piena
di cibo in scatola, autosufficienti come extraterrestri in missione
spaziale?
Inutile negarlo: la paura di malattie, attentati e spiacevoli
imprevisti ci ha fatto passare un po' la voglia di compiere lunghi
viaggi. Eppure - detto brutalmente - rinunciare a viaggiare per paura
di morire è assurdo, visto che la grande maggioranza delle
persone muore nel proprio letto. Combattuti da neofilia e neofobia, tra
desiderio di novità e voglia di familiarità , quando ci avventuriamo
"altrove" ci sentiamo comunque insicuri, precari, poco garantiti.
Viaggiare ha sempre comportato relative quantità di azzardo. Il rischio
è sempre stato insito nel mettersi in cammino. Anche etimologicamente,
chi dice travel dice travaglio. E non meraviglia che i verbi inglesi to
fare, viaggiare, e to fear, temere, discendano da una radice comune.
Nel 1865, l'agente di borsa inglese William Moens viene rapito dagli
"indigeni" salernitani sulla via di Paestum. Già a quell'epoca le
attrazioni turistiche "" ritenute obiettivi a rischio - erano presidiate
dai militari. Ma i carabinieri schierati a guardia delle antiche rovine
per proteggere i visitatori stranieri, in questo caso vengono beffati
dai briganti, i quali dopo qualche mese ottengono dalla moglie di
William Moens un consistente riscatto. Per inciso, Moens svilupperà
quella sindrome, detta poi di Stoccolma, che lega affettivamente il
sequestrato ai suoi sequestratori, al punto che al momento della sua
liberazione scorrono le lacrime, da entrambe le parti.
Negli ultimi decenni uno stillicidio di aggressioni a turisti di
diverse nazionalità ha funestato meravigliose destinazioni turistiche.
I target sono stati scelti con cura: hotel, musei, siti archeologici,
aeroporti, battelli da crociera. Le reazioni non sono mancate. Il primo
industriale del turismo armato, o se vogliamo del turismo sicuro
fai-da-te, è giapponese. Ai connazionali in partenza per l'estero,
Katsuichiro Sato offre una linea di prodotti che costituisce una sorta
di survival kit turistico: giubbotti antiproiettile, lanciarazzi
fumogeni, tagliole da camera d'albergo, spray al peperoncino e cinture
anti-stupro, sul modello di quelle di castità .
I controlli, le perquisizioni e in generale la security sono stati
potenziati in tutto il mondo. Portare a casa la pelle è giustamente la
priorità di ogni viaggiatore, e siamo grati a chi ce lo consente. Anche
se è evidente che più ci si blinda, più ci si sente minacciati, e
viceversa. Socializzare la paura è confortante. Purtroppo questa
socializzazione è spesso accompagnata da un indebolimento dello spirito
critico. In cambio dell'illusione della sicurezza, perché di
un'illusione si tratta, siamo disposti a cedere sul piano della
riservatezza e della libertà di movimento. Giungendo ad accettare
perfino gli abusi. A questo proposito l'organizzazione londinese
Privacy International ha lanciato un'ironica competizione a premi per
la misura di sicurezza più stupida (Stupid Security Competition). Il
concorso si basa sulle segnalazioni arrivate sia dal settore pubblico,
sia da quello privato: circa cinquemila all'anno, provenienti da 35
nazioni. Si va dall'Australia alla Russia, ma la maggioranza delle
segnalazioni riguarda gli Stati Uniti e non a caso le più numerose
giungono dagli aeroporti. In questi non-luoghi ormai si assiste a scene
grottesche. All'aeroporto internazionale di Philadelphia (tra i
"premiati" nell'ultima edizione del concorso di Privacy International)
l'acqua di Cologna di un giovane arabo saudita, scambiata per un
pericoloso agente di contaminazione chimica, ha allarmato l'FBI al
punto da allestire una camera di quarantena d'emergenza. Mentre
all'aeroporto JFK di New York, una giovane mamma americana, in viaggio
con il suo bebè, è stata costretta dalla security a bere il suo stesso
latte, contenuto nei biberon che trasportava con il bagaglio a mano,
poiché il liquido suscitava sospetti.
Esistono studi scientifici sulla accettazione delle misure di controllo
da parte degli utenti. Se n'è parlato per esempio al BioSecurity Summit
di Las Vegas, dove il "benessere" provocato dalle misure di sicurezza
sui mezzi di trasporto e nei luoghi di transito - misure sempre
più fantascientifiche - è stato paragonato all'effetto placebo di
certi farmaci. In molti casi, infatti, non si tratta di provvedimenti
realmente efficaci, ma solo rassicuranti. Nella prevenzione del rischio
di attentati, per esempio, i limiti etici, gli errori e gli enormi
costi dell'identificazione individuale sono temi controversi.
Dal punto di vista antropologico, l'insicurezza del turista, come
quella dei prodi viaggiatori del passato, è l'atavico terrore nei
confronti della diversità . Ma è anche l'insicurezza della nostra
civiltà , al contempo innocente e prevaricatrice, che, da opulenti e un
po' svagati turisti occidentali, rappresentiamo giocosamente. In un
mondo che non se la passa troppo bene. Oltre gli orizzoni della nostra
civiltà , e fuori dalle nostre regole, chi ci sta? Sunt leones,
rispondevano i latini. Che avevano ben definito il significato di
questa parola: non solo leoni, ma anche mostri, barbari e spaventatori
di viaggiatori. Ma attenzione. I leones hanno abbandonato le loro
plaghe esotiche e oggigiorno si aggirano anche tra di noi. O,
perlomeno, così sembra. Converrà dunque vivere in allarme,
precauzionalmente. Tutti belli spaventati.
A ben vedere, non è soltanto quando siamo in viaggio che cerchiamo
sicurezza. Dal punto di vista psicologico, infatti, è facile accorgersi
quanto il bisogno, se non la retorica della sicurezza dilaghino ben
oltre la vacanza e l'attività turistica. Le nostre abitudini e persino
il nostro linguaggio tradiscono un'ansia di sicurezza e di certezze, di
cui spesso non siamo neppure consapevoli. Si va dall'ambito delle
assicurazioni a quello dell'informatica, dalle automobili ai
trattamenti economici previdenziali, dalla sanità all'alimentazione, ai
rapporti affettivi e sessuali. L'ossessione per la sicurezza, a casa e
in viaggio, oltre che costarci cara, sta mangiando una bella fetta di
piacere e di semplicità nel fare le cose. Mi chiedo: non staremo
esagerando?
Ho l'impressione che il mondo delle garanzie, delle vaccinazioni, delle
omologazioni, delle standardizzazioni, delle certificazioni, questo
mondo ben temperato e fiscalizzato, abbia sconfinato. I suoi criteri,
ormai sdoganati da ogni parte politica, hanno invaso la nostra vita
quotidiana. In breve, sembriamo davvero appartenere a quella che lo
psicoanalista americano James Hillman ha chiamato la "civiltà
dell'airbag". Dove il feticismo delle assicurazioni e della security ci
solleva dal ragionare in maniera responsabile sulla correttezza del
nostro modo di capire la realtà e sulla necessità dei nostri
comportamenti. La cosa più importante, ci dicono, è non andare a
sbattere. E ognuno provveda come meglio può. Va da sé che le certezze,
come gli airbag e le porte blindate, abbiano un certo costo. Altissmo,
quello della abolizione del "sale" del viaggio (e della vita).
L'imprevisto.