Scritti

Una rete sociale contro i suicidi

10 giu 2023
Scritti

Una rete sociale contro i suicidi

Giornale l'Adige, 10 giugno 2023
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Un paesano “diverso”, disperato e tormentato dai sensi di colpa, si arrampica sulla rete protettiva di un ponte per gettarsi nel vuoto. È la scena finale del nuovo film di Cecilia Bozza Wolf intitolato “Rispet”, bellissimo e durissimo. In barba agli appelli, ai centri di aiuto, alla retorica della solidarietà ci sono persone che vivono situazioni di grande disagio. Persone che subiscono violenze sociali: emarginazione, prevaricazioni, arroganze tribali. Sì, anche nel nostro felice Trentino-Alto Adige, quello degli enfatici spot promozionali proiettati al cinema, durante l’intervallo tra il primo e il secondo tempo. Pubblicità che suonano grottescamente fuori della realtà. Era lo scenario descritto nel saggio noir intitolato Tristi montagne, del sociologo Christian Arnoldi, vincitore del Premio Itas “Cardo d’Argento” a MontagnaLibri nel 2010. Un libro inchiesta che non andrebbe dimenticato, e al quale tra l’altro la regista trentina si è ispirata per la sua fiction.
Da qualche tempo c’è un aumento di cosiddetti gesti insani, con numeri allarmanti nella nostra Regione. Persone che se ne vanno, letteralmente. Che si isolano e vagano cercando la fine, lungo ponti e fiumi, in montagna, vicino ai binari della ferrovia. Colpisce la perdita di speranza, la visione della propria esistenza drammaticamente difforme rispetto a modelli spacciati come ideali, la famiglia felice, tanti figli, la vita serena e operosa. Ma chi e quando mai? Sono rappresentazioni farlocche, narrazioni che possono produrre conseguenze nefaste. Sarebbe ora di smetterla di propagandare modelli di famiglia alla Mulino Bianco. O come quello del “Family Monument” in piazza Dante a Trento, un falso sociologico sbattuto in faccia ai senza famiglia e ai senza dimora. Sia chiaro, modelli dannosi anche per le persone “normali” che vivono crisi e difficoltà.
I cosiddetti gesti estremi ci lasciano sempre sgomenti. Fanno pensare al divario tra apparenza e realtà, alle finzioni e alle maschere che portiamo. Molti celano un lato oscuro, che può prendere il sopravvento, per diverse ragioni. Corrono anni difficili per tutti, di relazioni penalizzate, di priorità data alle rivoluzioni del lavoro, di sconforto e di preoccupazioni soverchianti. Probabilmente stiamo ancora pagando il prezzo di un’umanità massacrata dai lockdown. I rapporti umani faticano a ingranare. Mentre il mondo sembra andare a remengo, bisogna fingere di essere felici a tutti i costi. Capita che la commedia non stia in piedi e che la somma delle frustrazioni spezzi un equilibrio. La ricerca antropologica dell’ultimo secolo ha comunque confermato le riflessioni dello scienziato francese Émile Durkheim, autore di un vecchio classico sull’argomento: la percentuale di suicidi è una funzione diretta del livello di disgregazione sociale presente in una comunità.
È opinione diffusa che di fronte al dramma di chi si toglie la vita non ci siano parole da dire, che sia meglio tacere per discrezione. O per non provocare una catena di altri suicidi. È comprensibile, ma credo dipenda da quello che si dice, beninteso senza giudizi e senza moralismi. Ma anche senza tabù. Nell’attuale turbine di comunicazioni di ogni genere in cui viviamo ci sono paurose zone di silenzio. Omissioni che tuttavia riguardano aspetti fondamentali della nostra vita. Tacere, il silenzio violento che finisce per opprimere, resta uno dei problemi connessi al suicidio, che spesso matura proprio nell’incapacità di comunicare.
Poi c’è il discorso delle reti. La rete di un ascolto empatico che evidentemente non basta. La rete cui si è rivolta una donna in Valsugana ordinando un preparato tossico per suicidarsi, e allora ce la siamo presa con internet come se la colpa fosse di un sito web. Concretamente, infine, la rete metallica che si vorrebbe installare sul parapetto videosorvegliato di un ponte galeotto. Dunque è colpa dei ponti? Vogliamo proteggere con reti tutti gli argini dei fiumi, gli strapiombi, le forre, i sentieri esposti e le cenge del Trentino per impedire alle persone di buttarsi? Riprendiamo pure con le telecamere, e poi? Ovviamente non è questo il modo di contenere il fenomeno, ma occorrerebbe andare alle origini, alle cause. Includere, dialogare, affrontare pubblicamente e con coraggio argomenti spinosi, intercettare e sanare situazioni e sentimenti laceranti. La vita è meravigliosa e tremenda. È un mistero. Amarla o rifiutarla, accettarla o porvi fine rimane una scelta di libero arbitrio. Ma oltre ai trionfi dei festival e della società dello spettacolo, per chi vive male, c’è parecchio da fare.