Scritti

Le nostre vite spese nel troppo

24 giu 2023

Parliamo di costume.

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Le nostre vite spese nel troppo

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Troppi vermi dentro le ciliegie, quest’anno. Troppi sbalzi meteo. Troppa retorica su Berlusconi. Troppi canali tivù e troppo calcio. Troppo cari i fagiolini al supermercato. Troppe app per i telefonini. Troppo traffico in autostrada. Troppa digitalizzazione, che non elimina le procedure burocratiche. Troppa fila per visitare i Musei Vaticani. Troppi turisti sul lago di Garda. Troppe confezioni di detersivi di ogni genere che finiranno in discarica. Troppa plastica.
Viviamo nel troppo. Con la percezione ricorrente di una saturazione, di un eccesso di beni e servizi, ma non soltanto, anche di informazioni inutili. Il mondo è troppo popolato? Troppo intenso, troppo veloce? Se lo chiede da tempo l’antropologo norvegese Thomas Hylland Eriksen, autore per Einaudi di una “antropologia del cambiamento accelerato” intitolata Fuori controllo. Naturalmente si può obiettare che proprio per il fatto che il mondo è troppo pieno, cioè pieno di persone interconnesse, delle nostre opere e dei nostri progetti, si tratta di un luogo maledettamente interessante da studiare.Rimane tuttavia il problema, oggettivo, della crescita, e della sua anacronistica ideologia. La crescita demografica, anzitutto: nel volgere di una sola generazione la popolazione urbana dei Paesi cosiddetti in via di sviluppo è aumentata di dieci volte. Quanto al commercio internazionale, basti pensare che ogni dieci anni i porti di Shanghai e di Singapore raddoppiano il loro volume di affari, quando già era alle stelle.
Al troppo non si comanda. “Tanta roba” è diventato un modo di dire, spiritosamente spiccio, che allude all’impossibilità di enumerare o declinare una mole di contenuti sovrabbondanti. Nel nostro dialetto l’efficientismo di chi sta “sempre sul pezzo” ha una forma vernacolare che suona “star sui colpi”, che equivale a non mollare, anche se perlomeno allentare qualche presa sulla realtà aiuterebbe a vivere senza stress.
Per rimanere nel campo dei detti popolari - cioè quegli adagi che sembrano distillati di saggezza ma che sbagliano spesso - non credo proprio che il troppo sia parente del nulla (el massa l'è parént del miga), come viene diligentemente riportato nel bell’Archivio della Memoria dell’Ecomuseo Valle dei Laghi. Se in tempi di glamourcrazia è concesso evocare la vecchia sobrietà, senza passare per pauperisti e bacchettoni, non si può negare che quella fosse una buona regola.
La maestra di scuola elementare ci insegnava che il troppo stroppia. Nessuna meraviglia che molte persone (non troppe, per la verità) poi cerchino le condizioni per poter condurre stili di vita diversi, per esempio i giovani che decidono di andare a gestire rifugi di montagna. Scelte che comportano spazi, ritmi e relazioni umane più armoniche. Sono sicuramente i più consapevoli e fortunati. Altri purtroppo se ne tirano fuori male, in modalità stand by esistenziale; o peggio ancora, iniettando prodotti chimici psicotropi nel loro metabolismo. Crack ed eroina, non è un segreto, obbediscono a leggi di mercato. E circolano. Troppo.
Mentre osservo una comitiva di turisti, abbrustoliti dal sole, che a mezzogiorno scendono barcollando da un battello a Riva del Garda, penso alla vacanza veneziana della protagonista del famoso romanzo di David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley. La giovane avventurosa, in fuga da una situazione coniugale difficile e alla ricerca di pace, sembra esasperata da un eccesso di stimoli, esorbitanti e fuori controllo. “II Lido, con i suoi chilometri di corpi arrossati dal sole o avvolti in pigiama da spiaggia, sembrava una distesa senza fine di foche ammassate pronte per l’accoppiamento. Troppa gente in piazza, troppe membra, troppe gondole, troppe lance a motore, troppi piccioni, troppi gelati, troppi cocktail, troppi camerieri in attesa di mance, troppe lingue diverse, troppo, troppo sole, troppo odore tipico di Venezia, troppe barche cariche di fragole, troppi scialli di seta, troppe fette di cocomero esposte sui banchetti e troppo, troppo divertimento!”.
Stai a vedere che la percezione del troppo è sempre stata relativa. Correva l’anno 1928, poco meno di un secolo fa. Ed era già troppo, tutto.