Questa sezione non è un blog, è proprio un BLOB come un pentolone in ebollizione, pieno di ingredienti, pubblicazioni, video, interviste, idee assortite. Qui sono raccolti alcuni miei lavori, divisi per categorie: scritti, documentari, incontri, ecc. Vedere per credere :-)
Prima noi, ma noi chi? Umani, italiani, trentini, valligiani? Prima noi del nostro Comune, del mio quartiere, prima la mia famiglia? La logica che spinge un’ideologia così antiquata è quella che ieri ha prodotto il colonialismo, lo schiavismo, il razzismo. Ed è lo stesso modo di pensare che oggi causa l’inquinamento dei mari, il consumo di suolo, il dissesto del territorio, le nuove pandemie, tutti i disastri ecologici e tutte le guerre. Combattute perché Dio è con noi. Siamo più potenti, non vogliamo limiti, e abbiamo ragione, punto.
"Animalisti" è una qualifica attribuita a persone che hanno idee molto diverse sul mondo naturale per costituire un’unica categoria. Vale la pena entrare nella complessità di questa galassia, per capirne un po’ la storia e le coordinate. L’assunto di fondo, difficilmente contestabile, è che da sempre l’umanità abusa degli animali, e sa di farlo.
Il dolore troppo visibile spaventa e ripugna. Il soffocamento delle emozioni, in determinate circostanze, è funzionale al mantenimento dell’ordine sociale; peccato che la nostra cultura eluda, rimuova o ne censuri l’espressione proprio quando, per sopravvivere al trauma di un’irreparabile perdita, ci sarebbe più bisogno di un temporaneo “delirio”. Se scatta il blocco socioaffettivo il lutto purtroppo diventa un’esperienza privata, solitaria e quasi vergognosa. Certamente più difficile da portare.
La fluidità di genere probabilmente è sempre esistita e forse sarebbe meglio che rimanesse tale, senza che il fluido si rapprenda o che venga canalizzato in forme per la solidificazione. Perché altrimenti categorie ed etichette che parrebbero riconoscere e garantire diritti, anziché generare rispetto per la diversità, producono l’effetto opposto, quello della discriminazione. Come se il loro contenuto fosse definito una volta per tutte. Il vissuto, invece, è relazionale, dinamico e magari anche occasionale.
Gli uomini ibridati con la macchina rappresentano una frontiera interessantissima per il trattamento delle disabilità, però.
Certamente. Il problema non sta nelle protesi che migliorano la qualità della vita, o nell’implementazione delle nostre capacità mnemoniche, ma nell’essere entrati nel codice della vita stessa, manipolando il Dna, più o meno alla luce del sole, al di fuori di una cornice etica. L’interfaccia uomo-macchina spalanca scenari inquietanti come l’eventualità di creare backup digitali delle nostre intelligenze, qualcuno dice della nostra anima.
In una trattoria di mezza montagna sopra Rovereto, sessant’anni fa, mi insegnarono a mangiare i pettirossi. Degli uccellini arrosto (passeri, fringuelli, cince tutto quello che volava) si dovevano sgranocchiare anche gli esili ossicini, e persino il cranio, tenendo il becco tra il pollice e l’indice. Il mondo cambia, le sensibilità e i gusti mutano: le montature degli occhiali non sono più di vera tartaruga, le pellicce di vero leopardo sono improponibili, e così anche gli usi e le culture alimentari evolvono.
Screditata e sbeffeggiata, ci manca l’utopia. Ben vengano le pratiche per un mondo migliore, ma guidate da meravigliose fantasie. Come quelle dello scrittore uruguaiano Eduardo Galeano: la gente lavorerà per vivere invece di vivere per lavorare, i ragazzi che rifiutano di andare in guerra non verranno arrestati, i cuochi non crederanno che alle aragoste piaccia essere cucinate vive.
“Diciamo la verità”, già, ma quale verità? Quella del branco di lupi avvistati, che poi lupi non erano ma cani? Quella del lavoratore stagionale che ha violentato una donna, ma non era stato lui? Quella del vaccino anti contagio Pfizer che un vero vaccino non era? O, andando un po’ indietro nel tempo, quella delle armi di distruzione di massa che Saddam Hussein in realtà non aveva? Esistono fake news popolari e fake news di regime. Non ci sarebbe da stupirsi se un governo autoritario mistificasse e dissimulasse relazioni di potere, lanciando accuse di falsità per screditare gli oppositori. In realtà, come ben sanno gli storici, questo è sempre accaduto...
Due giovani attivisti di Last Generation hanno lanciato una secchiata di purè di patate contro un quadro di Claude Monet, al Museum Barberini di Potsdam, in Germania. La ragazza grida ai visitatori attoniti: “Ci sono persone affamate, congelate, c’è gente che muore, siamo alla catastrofe climatica e tutto quello di cui avete paura è la salsa di pomodoro o il purè di patate su un quadro. Non si fa. È un sacrilegio. Non è colpa di Monet se ci sono guerre e fame nel mondo! Altri sostengono che i ragazzi hanno ragione. Non perché tra Monet e la Marmolada che si sta sciogliendo ci sia una relazione. Ma in qualche modo per crearla.
Anche se il costo del biglietto è quasi raddoppiato, se siamo in viaggio per Amsterdam ma la valigia te l’hanno mandata a Tenerife, se il personale è stressato e non sa darti risposte sul ritardo del volo, se guardi speranzoso il tabellone e capisci che questa volta resterai proprio a terra.
I nostri antenati non erano migliori, erano solo pochi. Nel Paleolitico eravamo circa 10 mila per tutto il pianeta Terra. Nel 1300 in area europea eravamo 80 milioni. 900 milioni nell’Ottocento, quando s’impenna la curva demografica. Oggi viaggiamo verso gli otto miliardi. Siamo numerosi, territoriali e arroganti. Una minoranza se ne rende conto: studiosi, attivisti, comunicatori che tuttavia fanno ancora la figura delle Cassandre.
A cosa serve una bicicletta pesante, equilibrata, banalmente utile per spostarsi da un luogo all’altro, che non si impenna nemmeno se tiri il manubrio con tutte le tue forze? Perché impennare la bicicletta? Destrezza, curiosità, coraggio, impresa eroica con i propri - limitati - mezzi. Il gusto di una trasgressione, sì, ma da virtuosi.